Una questione da prima pagina: il linguaggio

Cari amici! Non vogliamo, non possiamo e non dobbiamo giudicare chi sta più in alto di noi. Tuttavia, è opportuna una riflessione su questo tema, alla luce anche di alcuni fatti recenti (non isolati!), nei quali per delicatezza e compostezza non entreremo nello specifico. In questi giorni ripensavo alle parole di Papa Giovanni XXIII, il quale diceva: «Chi sta al mio posto, prima ancora di saper parlare, deve saper tacere!». Grande insegnamento, quello di Papa Giovanni: prima di parlare, pensa! Parafrasando un noto cantautore.

Papa Giovanni in questo atteggiamento di prudenza e sobrietà nel parlare, era in perfetta continuità con il suo immediato predecessore, il venerabile Pio XII. Il Pastor Angelicus era molto attento. A detta di alcuni questo suo controllo – che consisteva in una grande preparazione previa alla pubblicazione di un testo o di un video-messaggio – era segno di rigidità e sintomo di un animo “complessato”.
A volte si sentono dire anche da personaggi “illustri” cose simili! Pio XII, come anche Papa Giovanni XXIII e i suoi successori, non era “complessato” bensì era consapevole della responsabilità e del peso delle sue parole. Le parole di un Papa – inutile ricordarlo – hanno una grande risonanza, particolarmente nel nostro tempo, in cui, le parole attraversano l’intricato reticolo mediatico della stampa, della TV, e dei social.

Chi ha una funzione pubblica ed è un personaggio pubblico, deve ponderare e curare il suo linguaggio e non può lasciare la cosa all’improvvisazione e all’estemporaneità. Nessuno oggi cura il suo linguaggio: tutti parlano così come viene, le volgarità non mancano come anche le litigate furenti, attacchi verbali a più non posso fino ad arrivare all’insulto! Tutto per rincorrere facili incrementi di audience! Il linguaggio della Chiesa e dell’uomo di Chiesa non può conformarsi a tale stile a dir poco mondano.

La cura del linguaggio deve appartenere a maggior ragione all’uomo di Chiesa, che ha una grande responsabilità in vista della salvezza delle anime. Recuperiamo uno stile sobrio e composto nella forma che non va assolutizzata e tuttavia dice molto del contenuto che si vuole trasmettere. L’Analogatum Princeps della forma comunicativa è certamente il Cristo: grande cura nella parola come anche nei gesti e nelle azioni. Lo possiamo ricavare dai Vangeli (anche se qualcuno direbbe che a quei tempi non vi fosse il registratore!). Concludo suggerendo due caratteristiche che dovrebbe avere il linguaggio ecclesiale di un uomo di Chiesa: La sobrietà. L’uomo di Chiesa dovrebbe parlare poco, pensare e studiare (contemplare!) di più alla Divina Presenza (come ripeteva P. Barsotti!). L’uomo di Chiesa degli ultimi sessant’anni, a nostro avviso parla troppo! Ricordo un sacerdote che durante una S. Messa non mancava di chiosare continuamente i vari momenti della liturgia, commentando e tediando l’assemblea con la sua verbosità! Ma lasciamo parlare il Cristo! Almeno nella liturgia! Siano poche le parole del sacerdote! Che parli il Cristo! Seconda caratteristica che dovrebbe avere il linguaggio dell’uomo di Chiesa: la chiarezza. Nessuna ambiguità, l’uomo di Chiesa non lasci spazio al ginepraio delle interpretazioni arbitrarie che seguono lo spirito del soggettivismo e del relativismo. Sobrietà e chiarezza siano lo stile della comunicazione ecclesiale per la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime.


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