Brian Holdsworth
Il seguente articolo è una traduzione curata da Opposto di un video YouTube di Brian Holdsworth. Vi invitiamo a supportare il suo canale e valutare le opzioni disponibili.
Il caso del reverendo James Martin SJ e le ambiguità sull’accoglienza LGBTQ nella Chiesa cattolica
Negli ultimi giorni, il reverendo James Martin SJ ha attirato grande attenzione sui social media dopo aver reso pubblica una sua udienza privata con Papa “Leone XIV” (secondo la notizia riportata). Martin ha utilizzato quell’occasione per divulgare presunte dichiarazioni che egli interpreta come una prosecuzione senza riserve dell’atteggiamento di apertura di Papa Francesco verso il mondo LGBTQ. Una mossa che, come spesso accade con il gesuita americano, solleva non poche domande e polemiche.
Ambiguità calcolate
Padre Martin ha una strategia comunicativa ben precisa: utilizza frasi volutamente ambigue, che gli consentono di mantenere una sorta di “plausibile negazione” mentre allo stesso tempo mette in discussione o oscura l’insegnamento della Chiesa cattolica sull’antropologia umana. Egli è spesso presentato come un promotore di maggiore inclusione delle persone LGBTQ nella Chiesa. Ma che cosa significa davvero “inclusione”?
La vera inclusività cattolica: accoglienza con conversione
La Chiesa cattolica non rifiuta nessuno. Ogni persona, in ogni luogo e in ogni tempo, è accolta nell’invito a seguire Cristo. Tuttavia, l’inclusione non è senza condizioni: richiede conversione, pentimento, cambiamento di vita. Dire che la Chiesa deve “includere” senza chiedere conversione equivale a negare la natura stessa del cristianesimo. Pretendere che la Chiesa cambi la propria dottrina per evitare la chiamata al pentimento è, in realtà, un rifiuto della fede.
Un paragone illuminante: non avrebbe senso accusare l’esercito di non essere “inclusivo” perché non permette ai pacifisti di arruolarsi restando tali. Se l’esercito diventasse pacifista per includere i pacifisti, cesserebbe semplicemente di esistere.
Sessualità, matrimonio e legge naturale
Il magistero cattolico è chiaro e costante: Dio ha creato l’uomo e la donna, e i due diventano una sola carne nel matrimonio. La finalità primaria dell’intimità sessuale è la procreazione. Ogni tentativo di separare volontariamente piacere e fecondità è contro la legge naturale e dunque intrinsecamente sbagliato.
Questo significa che ideologie che presentano l’omosessualità, la fluidità di genere o la promiscuità come semplici “stili di vita” non potranno mai essere compatibili con la fede cattolica. Non si tratta di discriminazione, ma del rifiuto di Cristo e della sua Chiesa da parte di chi pretende di imporre una nuova visione dell’uomo.
Il paradosso della “vittimizzazione” LGBTQ
Padre Martin insiste spesso sulla narrativa secondo cui la comunità LGBTQ sarebbe marginalizzata e oppressa dalla Chiesa cattolica. Ma la realtà mostra un quadro opposto: oggi sono spesso i cattolici fedeli a subire discriminazioni — licenziamenti, denunce, espulsioni da scuole o associazioni — per il solo fatto di sostenere l’insegnamento cattolico su matrimonio e sessualità. Intanto, banche, multinazionali, partiti politici e istituzioni pubbliche sostengono e celebrano ufficialmente il movimento LGBTQ. Parlare ancora di marginalizzazione appare quanto meno forzato.
Le benedizioni controverse e la sovversione dall’interno
Padre Martin, in più occasioni, ha contraddetto apertamente il Catechismo e i documenti magisteriali, definendo “crudeli” alcuni insegnamenti, auspicando matrimoni tra persone dello stesso sesso benedetti dalla Chiesa, e arrivando a benedire pubblicamente coppie omosessuali in contrasto con le indicazioni della Santa Sede. San Pio X avvertiva: i nemici più pericolosi della Chiesa sono quelli che la minano dall’interno.
Inclusione senza condizioni: dissoluzione della Chiesa
Il problema di fondo è che l’“inclusione” proposta da Martin non è quella tradizionale della Chiesa — accoglienza e misericordia unite a conversione — ma un’inclusione che chiede alla Chiesa di snaturarsi. Un’inclusione senza confini equivale a nessuna inclusione. Come nello sport: se volessi partecipare al calcio ma rifiutassi regole, fatica e competizione, la soluzione non sarebbe “includermi” cambiando il calcio, ma la dissoluzione del gioco stesso.
La pazienza di Dio e il rischio della superbia
Molti si chiedono perché i vertici ecclesiastici diano spazio a Martin senza correggerlo apertamente. Forse per ragioni pastorali, forse per strategia, forse per prudenza diplomatica. Ma resta il fatto che Martin sfrutta ogni spiraglio per legittimare un’agenda che mina la dottrina. Di fronte a ciò, il credente è chiamato a ricordare due cose: la provvidenza di Dio, che permette perfino il male senza perderne il controllo; e il monito evangelico che la vendetta appartiene a Dio, non a noi.
Rabbia motivata dall’amore
Non si tratta di odiare, ma di desiderare la conversione di chi sbaglia. Un amore che disapprova è più esigente e più profondo di un odio che ignora. E l’amore vero non è mai permissivo: chiede il bene dell’altro, anche quando questo implica un radicale cambiamento.
In conclusione: l’idea di inclusione promossa dal reverendo James Martin non è la vera inclusione cattolica, ma una sua parodia. Una Chiesa che accoglie senza chiedere conversione tradirebbe sé stessa e, in ultima analisi, cesserebbe di esistere.



