«Io non crederei al Vangelo, se non mi spingesse a credere l’autorità della Chiesa cattolica».
Così si esprime Agostino nella sua lunga lettera contro Mani, il fondatore della setta manicheista. Non abbiamo la possibilità, in poche righe, di commentare questo tentativo da parte di Agostino, di confutare l’eresia manichea. Desideriamo piuttosto soffermarci sull’espressione che abbiamo citato all’inizio. «Non crederei, se la Chiesa non mi spingesse…». Di primo acchito, alcuni di noi potrebbero pensare, che il santo di sua iniziativa mai avrebbe aderito alla fede in Cristo Gesù, così come si configura nei Vangeli, ma che si sia limitato a seguire il gregge come un “pecorone”. Altri ancora, direbbero che da una tale affermazione si evincerebbe una “coscienza violentata”, incapace di prendere l’iniziativa, di aderire liberamente, senza che una istituzione – in questo caso, la Chiesa – facesse un’ imperdonabile pressione. Si tratta di letture superficiali. Agostino, in realtà, sottolinea con grande forza, la decisività della dimensione sociale, oggettiva del credere: in una parola la necessità del “Noi”. Non basta leggere il vangelo, per così dire, “privatamente”; non è sufficiente rivolgersi personalmente a Dio; non è possibile credere in Cristo, facendo a meno del suo Corpo storico. È interessante vedere come Agostino, per fronteggiare le gravi eresie che ferivano la Chiesa dall’interno, in particolare il donatismo e il pelagianesimo, cerchi di fare chiarezza sui rapporti che uniscono i membri della Chiesa tra di loro e col loro Capo. In questa lotta contro le eresie interne, Agostino riprende il modello ecclesiologico tradizionale del corpo di Cristo, peraltro, già introdotto da San Paolo e poi da Tertulliano. Contro i donatisti che formarono una chiesa scismatica in Africa, Agostino servendosi del modello somatico, prova e difende l’unità della Chiesa in forza dell’incorporazione di tutti i cristiani in Cristo: per lui l’unità profonda della Chiesa più che dalla gerarchia, dipende da questo rapporto vitale, anzi da questa immanenza dei fedeli in Cristo per cui la Chiesa si identifica in un certo senso col Cristo. Agostino utilizza anche un’altra icastica espressione per parlare della Chiesa: la definisce il Cristo totale.
“La Chiesa come Cristo totale è con il suo capo, per non restare sola. Essa comprende in sé forti e deboli, ha in sé chi si nutre di pane sostanzioso e chi deve ancora essere nutrito di latte. Si deve ancora riconoscere che anche nella partecipazione ai sacramenti, nel ricevere il battesimo, nella partecipazione alla mensa dell’altare si mescolano in essa giusti e peccatori. Il corpo di Cristo di cui ora abbiamo conoscenza, è come l’aia, e solo in futuro sarà granaio, e ora in quanto aia, non respinge da sé la paglia: solo al tempo del raccolto il frumento sarà separato dalla paglia”1.
La Chiesa è il Cristo totale, capo e corpo intimamente connessi. Non si possono “smembrare”. In essa il legame battesimale è solidissimo. I suoi membri, sono “misticamente” una cosa sola. Noi credenti siamo inseriti in questo immenso “Noi” che è la Chiesa Cattolica. Ed è propria la consapevolezza di appartenere a questa grande compagnia, che mi spinge a “dare credito” al Vangelo, a perseverare, perché mi guardo indietro e…non sono solo! Partecipo alla grande liturgia della Chiesa e….non sono solo! Attraverso il grande anno liturgico ho l’opportunità di accostare un fiume di uomini e donne come me, che hanno fatto del Cristo la ragione di vita, che hanno dato la vita con il martirio, con una vita improntata alla carità, nel servizio alla Verità. Così dirà Agostino nel proseguo della lettera contro Mani:
“Mi mantiene fermo il consenso dei popoli e delle genti; mi mantiene fermo quell’autorità avviata dai miracoli, nutrita dalla speranza, aumentata dalla carità, confermata dall’antichità; mi mantiene fermo la successione dei sacerdoti sulla stessa sede di Pietro apostolo, al quale il Signore affidò da pascere le sue pecore dopo la risurrezione, fino al presente episcopato; mi mantiene fermo infine lo stesso nome di Cattolica, che, non senza un motivo, solo questa Chiesa ha ottenuto in mezzo a numerosissime eresie, per cui, benché tutti gli eretici vogliano dirsi cattolici, tuttavia se uno domanda a qualche straniero dove si riunisca la Cattolica, nessuno degli eretici ha l’ardire di mostrare la sua basilica o la sua casa. Dunque tali e tanti dolcissimi vincoli del nome cristiano mantengono rettamente fermo il credente nella Chiesa cattolica, benché – a causa della lentezza della nostra intelligenza o del demerito della nostra vita – la verità non si manifesta ancora apertamente cristiana“2.
«Tutti gli eretici vogliono dirsi cattolici». Tutti coloro che si separano dalla Chiesa, entrando in polemica con essa, intendono rivendicare la vera cattolicità. Magari questi eretici, rivendicano di essere destinatari di una particolarissima missione per riparare il “deragliamento” della Chiesa di Roma, pensano di avere un “carisma” – magari per discernere un vero papa da un falso papa – alla luce di presunte esperienze mistiche, rivelazioni private, allocuzioni interiori. Si tratta di un gravissimo inganno, dovuto alla fuga dal “noi” della Chiesa, per la presunzione di scegliere ciò che è cattolico e rifiutare il dono ricevuto. La mistica, quella vera, tiene ben saldi nel grembo della Chiesa, non divide, e tutto sopporta.
«Non crederei, se la Chiesa non mi spingesse…». La Chiesa deve “spingere”: questo verbo fa pensare al grande sforzo di una donna incinta, in preda alle doglie del parto: essa deve spingere, affinché il figlio possa venire alla luce. Così la Chiesa, deve “spingere” affinché le anime possano generare il Cristo. In che modo si realizza questa “spinta”? San Paolo direbbe «insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina» (2Tm 2). Si tratta di quella «urgenza della missione» di cui fin da subito ci ha parlato Papa Leone XIV. «Non crederei, se la Chiesa non mi spingesse…». Non crederemmo tra l’altro nel vero Cristo e non vivremmo il vero Vangelo se non fossimo all’interno di questa grande comunione cattolica con la sua “innervazione gerarchica”, all’interno di questo “grembo” che genera e alimenta continuamente la nostra fede e ci tiene in piedi.
Anche noi che siamo dentro questa bella compagnia abbiamo la responsabilità, il dovere irrinunciabile, di cogliere tutte le occasioni della vita, ogni incontro, per annunciare il Vangelo, per far sentire all’umanità che in questo “Noi” sussiste la pienezza della presenza del Cristo in questo mondo.
1 Agostino d’Ippona, Discorso 364.
2 Ibidem.
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